Il Mediterraneo che aspettavamo

Di The Design Cut (Paolo Casicci, Laura Traldi)

Quando, nel 1987, Predrag Matvejevic uscì con il meraviglioso Breviario Mediterraneo, divenne di colpo evidente una verità mai dichiarata prima che per emergere aveva bisogno di un libro a metà tra il saggio, il portolano e la testimonianza emozionale. Quella verità è che tra traffici di mercanti, migrazioni di anguille, fughe di popoli, leggende, architetture, nodi e reti di pescatori, storie e paesaggi, il Mediterraneo non è solo geografia. Per dirla con lo stesso Matvejevic, “i suoi confini non sono definiti né nello spazio né nel tempo. Non sappiamo come fare a determinarli e in che modo: sono irriducibili alla sovranità o alla storia, non sono né statali né nazionali. Sul Mediterraneo è stata concepita l’Europa”.

Con un salto di scala e di coordinate, sbarchiamo ora nel rutilante mondo del design: esistono un Mediterraneo del progetto, una vocazione, un’attitudine a immaginare e a costruire spazi, arredi e suppellettili frutto di quella koiné multietnica in cui è riconoscibile il segno di una civiltà, ma in cui allo stesso tempo si riflette una varietà caleidoscopica e multiforme di popoli, lingue e rituali? E, ancora, se tutto questo esiste, può darsi una vocazione commerciale?

Se l’accostamento tra la parola design e l’aggettivo nordico non stupisce nessuno, e tutti capiscono immediatamente perché un concetto come la hygge sia tipicamente scandinavo, parlare di design Mediterraneo, invece, lascia sempre un po’ basiti. È una definizione che, seppure accettata in architettura, quando approda nell’arredo crea quasi imbarazzo. A maggior ragione, quando poi si prova ad attribuirle una finalità commerciale, è facile sconfinare nella categoria scivolosa dell’etnico. Ma come spesso succede, l’errore è in chi cerca. Perché è sbagliato pensare di trovare nel mare nostrum un design come quello espresso dalla cultura internazionale e nordica, quando invece il “breviario” progettuale mediterraneo rimanda a tutt’altro mondo: cioè a quello che mescola con grande sapienza, quasi innata, le origini vernacolari del saper fare con uno sguardo innovativo; che unisce il progetto all’arte di arrangiarsi tipica di chi è cresciuto in questi territori e a cui hanno attinto, declinandola in forme colte ed elevate, anche i grandi maestri, da Enzo Mari a Gio Ponti. Un mondo di archetipi e di icone inconsapevoli, nate dalle mani di milioni di artigiani che ancora adesso hanno tantissimo da dire e da offrire e non aspettano altro che essere presi per mano e traghettati verso nuovi orizzonti progettuali. E, appunto, di mercato.

È avendo ben chiaro in mente questo orizzonte culturale, di progetto e commerciale che qui a Edit Napoli (quale scenario migliore, per parlare di design e Mediterraneo), si saldano a partire da oggi in un solo destino due vicende esemplari di che cosa è e può diventare il “design mediterraneo”. Da un lato Antonio Aricò, che della sua ricerca meticcia, internazionale e vernacolare allo stesso tempo, spesa tra Reggio Calabria e Milano, tra “le radici e le ali”, ha fatto una cifra singolare e uno stile riconosciuto e riconoscibile. Dall’altro MYOP, brand siciliano nato per mettere in rete piccole botteghe artigiane siciliane nello sviluppo di progetti di design che sanno di tradizioni, di terra, ma carichi di una direzione progettuale votata alla contemporaneità (che deriva dall’origine di questa azienda, nata come eccellenza nella lavorazione dell’acciaio). Da un lato quindi l’autorialità, dall’altro un network di maestranze ed expertise in grado di offrire poesia, contatto personale e saper fare.

A Signurina e U Signurino, la collezione di sedie e di tavoli che arriva qui in anteprima a Edit Napoli firmata da Antonio Aricò per MYOP, è dunque il frutto dell’ambizione di tradurre in design contemporaneo e con un destino commerciale secoli di design inconsapevole. Lo sforzo, anche e soprattutto emozionale, che diventa favola. Come una favola, forse tra le più belle nella storia del design, è quella che si compie quando un autore prende per mano un artigiano, che è poi il know how del Made in Italy, è stata la fortuna del design degli anni del Boom e può esserlo anche per quello Mediterraneo.

Le sedie e i tavoli di Aricò e MYOP partono da un archetipo e lo interpretano con ironia e leggerezza. Sono le sedie e i tavoli su cui hanno mangiato, riposato, giocato e fatto l’amore milioni di donne, uomini e bambini. Icone libere, inconsapevoli, che le geografie declinano con nomi diversi, paesana, veneta, rustica, contadina. E che oggi fanno ingresso nel mondo del design portando la storia di milioni di mani, di materiali e tradizioni locali. Storie di donne che intrecciano la paglia, di falegnami che esaltano le venature dei frassini mantenendole a vista, di pietre laviche, di corde da trekking e pupi siciliani, di maioliche e pattern. Sono Sicilia e Grecia allo stesso tempo, ma anche Africa e Medio Oriente. Sono il sogno del Mediterraneo di avere, finalmente, il suo design.